La vite

la vite

La vite è una pianta molto antica. Tracce fossili indicano la sua presenza, come specie vegetale, già nel periodo Cretaceo. Stiamo parlando di circa 140 milioni di anni fa. Ma quand’è che l’uomo addomesticò la vite e scoprì la possibilità di fare il vino? Secondo molti studiosi la coltivazione della vite risale a 5000 anni prima di Cristo, nel Neolitico, quando appaiono i primi insediamenti di vite sedentaria. Ne danno testimonianza siti archeologici, in Medio Oriente (Armenia e Georgia), che hanno custodito per migliaia di anni non solo semi e frammenti di fusto carbonizzati, ma anche interi acini essiccati e tracce di acido tartarico, composto presente quasi esclusivamente nell’uva.

Al genere Vitis appartengono circa 70 specie divise in due gruppi: Americano, con circa 30 specie resistenti alle malattie, ma di scarsa qualità utilizzate come portinnesti o per incrociare con la Vinifera per ottenere ibridi; Euroasiatico (tra il Mar nero e il Mar Caspio: Georgia, Armenia, Azerbaijan), con circa 40 specie, tra cui la Vitis Vinifera che è quella attualmente coltivata. Le varietà o vitigni si possono distinguere per differenti forme e colore degli acini (i chicchi), del grappolo e delle foglie, per i diversi periodi di maturazione e per le differenti caratteristiche organolettiche dei vini da essi ottenuti. Per ottenere un vino di qualità, la scelta del vitigno è determinata dal territorio nel quale si produrrà il vino stesso. Oggi infatti i vini di maggior successo sono quelli prodotti con uve che si sono perfettamente integrate nell’ambiente pedoclimatico e dove si sono sviluppate particolari tecniche colturali e di vinificazione. È importante non confondere, come a volte accade, il termine vitigno con vigneto che invece indica la struttura produttiva, dedicata alla coltivazione delle viti. Basti pensare al paesaggio collinare ricamato di vigneti che si estende tra Conegliano e Valdobbiadene, di cui potete osservare le immagini.

LA VITE – è una pianta lianosa rampicante appartenente alla famiglia delle Vitaceae (dal latino viere = intrecciarsi/attaccarsi), che contiene circa 1.000 specie divise in 17 generi, quasi tutti con piante usate a scopo ornamentale tranne che per il genere Muscadinia e Vitis. Quest’ultimo comprende al suo interno circa 60-70 specie distribuite tra il nord America (circa 20) e Asia (circa 40). Nel gruppo Asiatico trovano posto le specie Euroasiatiche (Georgia, Armenia, Azerbaijan) della Vitis vinifera cui appartengono le varietà oggi coltivate e originarie proprio dall’area compresa tra il mar Nero e il mar Caspio.

L’ACINO – Nella parte esterna dell’acino troviamo la buccia (pericarpo) composta da una epidermide dove vi è la cuticola rivestita di pruina (una cera che serve a proteggere l’acino dagli agenti atmosferici e dai parassiti, inoltre funge da nutrimento per i lieviti che qui risiedono e che svolgeranno poi la fermentazione alcolica) e da un ipoderma formato da 4 a 16 strati di cellule. Nella buccia sono contenuti i precursori degli aromi, le sostanze coloranti (flavonoidi) e i tannini. Vi è poi la polpa (mesocarpo) dove troviamo gli zuccheri, gli acidi e in alcune varietà aromatiche tipo Moscato altri aromi. Infine vi è l’endocarpo che avvolge i semi (vinaccioli) ricchi di tannini e olio. Quando l’uva è matura i vinaccioli sono scuri (perché lignificati) e croccanti come un chicco di caffè.

FOGLIA possono assumere varie forme ed hanno il compito di svolgere la fotosintesi clorofilliana

Il GRAPPOLO è composto da una infiorescenza dove sugli assi terminali vi sono le infiorescenze elementari formate da mazzetti di 3-5 acini detti bacche di forma diversa in funzione della varietà (ovale, rotonda, ad ellisse, appiattita, etc)

APPARATO EPIGEO Ovvero la vegetazione visibile al di sopra del terreno

TRONCO della vite con funzioni di sostegno e trasporto

APPARATO IPOGEO (1-3 metri) o apparato radicale: ha funzioni di ancoraggio al terreno ed assorbimento di acqua e sali minerali

La barbatella è una piccola pianta di vite prodotta in vivaio e pronta per l’impianto. La barbatella deriva dall’unione di una porzione di tralcio (detto anche marza) della pianta madre (una vite già “adulta”) alla quale si unisce tramite innesto una seconda porzione di tralcio (portainnesto) dal quale si genererà l’apparato radicale. La giovane pianta trae il suo particolare nome dalle folte radici primarie, emesse durante il radicamento in vivaio, chiamate appunto “barba”. Tutto ciò è possibile grazie alla capacità della vite – e di tante altre piante – di rigenerarsi, ovvero di ricostruire autonomamente le parti mutilate. La barbatella è quindi ottenuta dall’unione di due parti distinte (bionti): la parte inferiore (portinnesto) è quella da cui si genererà l’apparato radicale, mentre la parte superiore (nesto o marza) costituirà la chioma. Ma perché la barbatella deve essere innestata? Per rispondere a questo quesito è necessario andare indietro nel tempo, alla metà del XIX secolo, quando la Fillossera, un insetto patogeno arrivato dall’America, provocò la moria di quasi la totalità delle viti del continente europeo aggredendone le radici. Ci vollero diversi anni per comprenderne la causa e quindi per studiare un rimedio, e ciò avvenne quando si comprese che l’apparato radicale della vite americana era resistente alla Fillossera; si iniziarono così a produrre barbatelle con portinnesti americani e nesti di viti europee. Una volta innestata, la futura barbatella viene sottoposta al processo di forzatura per favorire la cicatrizzazione e la saldatura del punto di innesto e poi messa in campo da aprile a dicembre a sviluppare radici e parte aerea; ai primi freddi sarà sterrata e posta in vendita.

Le stagioni della vite

Dopo un lungo riposo invernale, la vite ora spoglia riprende lentamente familiarità col mondo della vita. Il primo passo per una nuova annata è sancito da una lacrima. Per definire questo fenomeno la scienza viticola parla di pianto. Tale goccia viene prodotta dall’assorbimento d’acqua da parte delle radici ed ha lo scopo d’idratare la pianta e in particolare la gemma, posizionata sul tralcio. La seconda fase è detta germogliamento. Affinché la gemma si schiuda in germoglio servono però almeno 10°C, di temperatura media che negli ambienti della Glera si raggiungono tra l’ultima settimana di Marzo e la prima di Aprile. Dopo circa 50/55 giorni sarà la fioritura ad esplodere in un fitto ventaglio verde capace di disperdere tutto il polline nell’aria e diffondere soavi e inconfondibili profumi che già ricordano quelli del vino futuro. Ma solo nel momento dell’allegagione iniziamo a vedere il futuro acino, che per il nostro vitigno si ottiene solo nel 40/55% dei fiori. Le parti escluse da questa metamorfosi rallentano la loro espansione a seguito della mancata impollinazione degli ovari presenti nei medesimi fiori. Ma la natura continua ugualmente il suo cammino alla vita con un costante accrescimento dei germogli e delle foglie per arrivare poi all’invaiatura. Ovvero un nuovo cambiamento. L’acino è ora translucido, non più verde ha virato il suo colore al giallo paglierino. La materia interna è sempre meno acida perché inizia a produrre zuccheri: la sostanza madre per la fermentazione dell’uva in vino. Segue la maturazione, ovvero l’equilibrio tra acidi e zuccheri. L’ultima tappa invece, prima che il ciclo della vita riprenda avvio dopo un nuovo sonno invernale, è la caduta delle foglie che rimette a nudo la pianta. Le gemme dormono, così come le radici che portano vicino allo zero la loro attività. E la stagione del freddo è ormai alle porte.

Le forme della vite

La vite è una pianta arborea che presenta una struttura lianosa che necessita per la sua sopravvivenza di un sostegno. Per questo motivo sin dai tempi dei romani in tutto il centro nord Italia la vite si maritava ad una pianta arborea e questo matrimonio fu adottato per quasi due millenni fino alla comparsa della fillossera, avvenuta alla metà del 1800. Da questo momento nasce la cosiddetta viticoltura moderna, caratterizzata dall’impiego di viti innestate su piede americano, il cui sviluppo viene regolato con forme di allevamento dalle chiome ridotte e sostenute da
pali e, verso la fine del 1800, anche da fili di ferro. Data l’elasticità del fusto la vite può assumere le forme più disparate e così è stato fino al secondo dopoguerra, ma negli ultimi trent’anni si è assistito ad un profondo cambiamento nella ricchezza delle forme di allevamento, infatti esigenze pressanti di meccanizzazione e di razionalizzazione delle produzioni hanno ridotto drasticamente il loro numero e ridotto l’estensione di altre (vedi tendone o alberello). La tendenza ormai consolidata è quella dell’adozione della spalliera sia a cordone permanente (vedi Sylvoz) che a tralcio rinnovabile (vedi Guyot), con pareti fogliari di dimensioni e forme standard adatte alla gestione delle chiome e all’impiego di attrezzature per la raccolta. Ad ogni forma è comunque richiesta la massima intercettazione della luce solare da parte delle foglie e una buona esposizione al sole dei grappoli.

Nel caso della coltivazione del vitigno Glera da cui si ottiene il vino Prosecco, quattro sono le forme di allevamento maggiormente utilizzate e ciò in funzione delle peculiarità varietali (fertilità delle gemme, portamento della vegetazione, vigore, etc) e delle consuetudini locali, spesso un fattore determinante nelle decisioni del viticoltore.

Guyot

Utilizzato soprattutto nella sua versione “doppio” è tra i sistemi di potatura in grado di garantire un alto riscontro qualitativo

Doppio capovolto

impiegato soprattutto negli ambienti collinari è una variante del Guyot doppio rispetto al quale presenta una maggior lunghezza e curvatura dei due capi a frutto annualmente rinnovati

Cordone libero

adatto a contenere i costi di impianto e di produzione grazie all’alto livello di meccanizzazione adottabile, è comunque una forma garante di un buon traguardo qualitativo

Sylvoz

sistema ampiamente impiegato soprattutto in pianura in quanto adatto al clima e alla tipologia di suoli

il futuro

Vite: 19 coppie di cromosomi – circa 30.000 geni = 487 milioni di basi azotate
Uomo: 23 coppie di cromosomi – 23.000-25.000 geni = 3 miliardi di base azotate

MIGLIORAMENTO GENETICO

Alla fine del XIX secolo, in Europa, presero avvio programmi di incrocio tra viti americane e viti europee, con l’obiettivo di rendere queste ultime più resistenti alle malattie, in particolare ai tre patogeni arrivati dall’America, che in quel periodo avevano devastato la viticoltura (oidio, peronòspora, fillòssera). Questo obiettivo era tecnicamente corretto perché le viti americane hanno caratteri (poi chiamati geni) che permettono loro di resistere a queste malattie. Era necessario incrociare la vite americana con quella europea, cercando però di preservare la qualità e la tipicità dei vitigni europei.

Dalla fine dell’800 ad oggi molti istituti di ricerca in tutta Europa hanno cercato di ottenere, attraverso l’incrocio e l’ibridazione, varietà con prestazioni superiori, anche se i risultati sono sempre casuali e mai garantiti. L’incrocio si opera tra due vitigni della stessa specie (un noto esempio è il Müller Thurgau, incrocio tra Riesling Renano e Madeleine Royale) mentre l’ibridazione è tra specie diverse, incrociando vite europea con vite americana. In entrambi i casi si selezionano le piante con le caratteristiche desiderate, con lo scopo di creare un nuovo vitigno che sommi i caratteri positivi dell’uno o dell’altro genitore.

Oggi grazie allo sviluppo delle biotecnologie e la recente decodificazione del genoma della vite, la ricerca ha raggiunto risultati sorprendenti tanto che tramite l’uso di marcatori molecolari, si può accelerare in laboratorio il processo di selezione, rendendo il percorso meno costoso, più mirato e spedito. Oggi è molto sentito il dibattito sulla possibilità di applicare nuove tecniche genetiche al miglioramento della vite senza considerare gli eventuali nuovi vitigni come OGM. Si tratta di processi che vanno sotto il nome di Cisgenesi (incrocio tra individui della stessa specie) e Genome Editing (correzione del genoma), per i quali si auspica un pronunciamento a breve, in merito alla loro possibilità di utilizzo, da parte degli organi competenti in ambito europeo.